Asylia.

Cartina dell'Italia

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ASYLIA

Privilegio concesso nella Grecia antica a persone e a templi; sta alla radice del moderno diritto di asilo. Per il singolo o per i gruppi (ambasciatori, araldi, artisti) la condizione di asylia comportava che nulla avessero a temere, neppure in caso di guerra, da parte di chi aveva loro accordato il privilegio. Nei santuari l'inviolabilità proteggeva persone e cose. L'istituto rimase estraneo al mondo romano

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ASILO, DIRITTO DI

Norma giuridica per la quale una istituzione gode del privilegio di sottrarre a ogni altra autorità chiunque, perseguitato o condannato, si rifugi sotto la sua tutela. Di origini antichissime, risulta presente in molte civiltà. Era previsto nella Bibbia, per gli omicidi non volontari che si rifugiassero presso i sommi sacerdoti di alcune città, e dai greci era istituito presso molti templi e luoghi di culto. Di minore importanza nel diritto romano, ebbe grande sviluppo con il cristianesimo: pur con qualche limitazione nei casi più gravi, chi si rifugiava in edifici consacrati era protetto dall'autorità pubblica. Nel corso del Medioevo entrò a far parte della sfera di immunità dal potere pubblico, acquisita tra secolo X e XI dalle signorie locali. Fu quindi esercitato anche da signori laici e venne meno solo con l'imposizione dell'autorità degli stati nazionali e regionali, senza tuttavia scomparire del tutto prima della fine dell'antico regime. Rimase inviolato il diritto ecclesiastico, che generalmente non subì limitazioni prima della abolizione dei privilegi ecclesiastici (in Italia fino alla metà dell'Ottocento). Oggi è solo una norma teorica nel diritto canonico, mentre è comunemente riconosciuto e regolato da apposite convenzioni nel diritto internazionale.

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Privilègio.

Dir. - Nel diritto romano, norma giuridica favorevole a una singola persona. Le XII tavole lo vietarono proprio per questa sua caratteristica di esclusione. Molto diffuso nel Medioevo (anche le singole libertà erano p.), è ora molto meno frequente. ║ Nel diritto pubblico, legge che attribuisce a un soggetto o a una categoria di soggetti una posizione più favorevole di quella degli altri soggetti. ║ Nel diritto civile, diritto di precedenza accordato a un creditore nell'ottenere soddisfazione sul patrimonio di un debitore rispetto ad altri creditori (art. 2.745 e seguenti Cod. Civ.). Questo diritto si esercita in funzione della causa del credito. I p. si distinguono in mobiliari e immobiliari, a seconda che derivino dalla vendita dei beni mobili o immobili del debitore. I p. mobiliari sono generali o speciali, quelli immobiliari sono solitamente speciali. I p. generali riconoscono soprattutto la causa del credito, mentre quelli speciali riconoscono un rapporto diretto tra credito e cosa dalla cui vendita deriva il denaro che deve ripagare il creditore. La legge stabilisce una successione nella presenza di p. atti alla soddisfazione dei crediti concessi. Preferenza è concessa al p. per le spese di giustizia, seguito da quello per i crediti da prestazioni di lavoro, dipendente o professionale. Seguono poi i crediti dei coltivatori diretti, delle cooperative e degli artigiani. Il p. automobilistico è una forma di ipoteca mobiliare costituita quando l'oggetto della garanzia sia un'automobile. ║ Nel diritto tributario, il credito d'imposta gode di un p. in quanto l'ente pubblico ha titolo di preferenza di fronte agli altri creditori. Per quanto riguarda i crediti per tributi indiretti, il 1° comma dell'art. 2.758 stabilisce che "i crediti dello Stato per i tributi indiretti hanno p. sui mobili ai quali i tributi si riferiscono e sugli altri beni indicati dalle leggi relative, con l'effetto da esse stabilito". Altri articoli disciplinano i p. generali per quanto riguarda i crediti per imposte sui redditi e per l'imposta sul valore aggiunto. ║ Nel diritto della navigazione, p. marittimi sono p. speciali che gravano sulla nave ma anche sul carico e sul nolo del viaggio durante il quale è sorto il credito assistito. ║ Nel diritto canonico, norma giuridica canonica che stabilisce per categorie di persone, di cose, di rapporti una posizione favorevole o restrittiva. P. di questo tipo sono l'indulto, norma di condizione aggiuntiva, la dispensa, norma che annulla un obbligo, e la grazia, norma che distrugge gli effetti derivati da una violazione della legge. Una volta acquistato, il p. è da considerarsi perpetuo. Il p. paolino è una norma di eccezione all'indissolubilità del matrimonio e si rifà a una lettera di san Paolo ai Corinzi (I Corinzi, VII, 12-16). Un matrimonio che sia stato validamente contratto tra due non battezzati può essere annullato qualora uno dei coniugi si converta alla religione cattolica e l'altro rifiuti di adeguare il proprio comportamento alla nuova pratica religiosa del compagno. ║ Nel diritto internazionale, p. diplomatico è la totalità dei trattamenti speciali concessi da uno Stato ospite al rappresentante diplomatico di uno Stato straniero. - Edit. - P. di stampa: concessione fatta dall'autorità locale, ma anche da un sovrano, da un papa, da un imperatore a un privato o a un editore per stampare, vendere e pubblicizzare un dato testo in un determinato luogo per un determinato periodo di tempo. Questa concessione è segnalata sul libro stesso e viene indicata con "Cum privilegio" o "Cum gratia et privilegio". Il primo p. di stampa fu concesso da Venezia il 18 settembre 1469 a Giovanni da Spira; aveva durata quinquennale sul territorio della Repubblica veneziana. - Arald. - Armi di p.: quelle concesse dai sovrani o dalle Repubbliche sovrane a famiglie o addirittura a città, per essersi unite a loro. - Econ. - Trattamento di preferenza concesso dallo Stato a singole persone o a singole categorie produttive. Indica anche una concessione di monopolio.

Romano.

Di Roma, in riferimento all'età antica o a quella medioevale e moderna. ║ Abitante o cittadino di Roma, in riferimento sia al passato sia all'età moderna. ║ In particolare, con riferimento alla storia antica, persona che godeva della cittadinanza r. ║ Il dialetto parlato a Roma, più comunemente detto romanesco. ║ Agro r. o campagna r.: V. CAMPAGNA ROMANA. ║ Candela r.: specie di fuoco d'artificio. ║ Carattere r.: carattere tipografico, detto più comunemente tondo (V.). ║ Castelli r.: V. ALBANI, COLLI. ║ Cemento r.: varietà di legante idraulico. ║ Pecorino r.: varietà particolare di formaggio pecorino. ║ Questione r.: V. QUESTIONE ROMANA. ║ Repubblica r.: V. ROMA, storia. ║ Chiesa r.: la Chiesa cattolica, che ha la sua sede a Roma. ║ Liturgia r.: nell'ambito della Chiesa cattolica, il tipo liturgico originario di Roma (V. LITURGIA). ║ Lettera ai R.: V. ROMANI, LETTERA AI. ║ Alla r.: nel modo che si usa a Roma. ║ Fig. - Pagare alla r.: dividere la spesa di un pranzo o simili in parti uguali fra tutti i partecipanti. - Mat. - Numerazione r.: sistema di numerazione basato sulla legge additiva. Per ottenere il numero si esegue la somma (o la differenza) dei valori dei simboli che ne compongono la scrittura. La scrittura r. dei numeri deriva da quella etrusca, ottenuta per lo più capovolgendo i segni. In essa hanno significato autonomo i seguenti simboli: I = 1, V = 5, X = 10, L = 50, C = 100, D = 500, M = 1.000. Per rappresentare le prime tre unità di un ordine (ad esempio 1, 2, 3; 10, 20, 30, ecc.) si usa il corrispondente segno ripetuto una, due o tre volte (I, II, III; X, XX, XXX). Per rappresentare 5 unità (5, 50, 500) si usa il simbolo corrispondente; per rappresentare 4, 6, 7, 8 unità si procede per somma o differenze mediante i simboli di 4 e 1 unità della stesso ordine (4 = IV, 6 = VI; 40 = XL; 60 = LX, ecc.). Per rappresentare nove unità si procede per differenza tra l'unità di ordine superiore e quella della stesso ordine (9 = IX; 90 = XC). - St. - Protomartiri r.: i cristiani che, secondo la tradizione, subirono il martirio a Roma sotto Nerone (64), in quanto accusati dell'incendio della città. Manca in realtà ogni testimonianza antica di un loro culto pubblico. Festa: 27 giugno. - Arte - Scuola r.: nome dato alla corrente pittorica formatasi a Roma intorno al 1930, i cui principali esponenti furono Scipione e M. Mafai. Suo scopo era quello di opporsi al convenzionalismo e al tradizionalismo del movimento Novecento, orientandosi verso nuove ricerche cromatiche che ridefinissero il rapporto tra colore e spazio. - Lett. - Scuola r.: corrente poetica attiva a Roma a partire dal 1870, che riuniva numerosi autori, fra i quali G. Carpegna, L. Lezzani, G.B. Maccari, L. Parini, formatisi alla scuola dell'abate A.M. Rezzi; le loro composizioni sono caratterizzate da un severo classicismo, nel quale unirono rigore morale e spirito religioso. - Dir. - Senza dubbio il diritto è da ritenersi la più grande creazione di Roma, la cui eredità è tutt'oggi presente non solo nel patrimonio culturale, ma nello stesso sistema giuridico di molta parte del mondo civilizzato. Sorto come diritto della città-stato di Roma, fu poi esteso a tutte le terre sottomesse all'Impero r. e, dopo la fine di questo, continuò a regolare la vita giuridica delle regioni cadute sotto il dominio delle popolazioni barbariche, perpetuandosi quindi nel Medioevo attraverso lo studio, l'approfondimento e l'applicazione dei codici in molti Paesi europei e soprattutto in Italia. Infine, con l'espansione avvenuta nell'età moderna, fu esportato nelle terre più lontane, affermandosi come universale ragione giuridica scritta. Il processo evolutivo del diritto r. si può suddividere in tre grandi periodi. Il primo abbraccia i secoli dalle origini di Roma (secc. VII-VI a.C.) fino al 200 circa a.C. e coincide con l'affermazione della potenza politica e militare della città, prima tuttavia del superamento delle forme costituzionali della città-stato: si tratta del cosiddetto periodo quiritario. La seconda fase si estende dal 200 circa a.C. fin verso la fine del III sec. d.C. e indicativamente si può ritenere compiuto con il tentativo di unificazione giuridica esperito dall'imperatore Diocleziano, il quale cercò d'imporre l'adozione del diritto r. a tutti i sudditi dell'Impero, divenuti cittadini r. a tutti gli effetti in virtù della Constitutio Antoniniana del 212. Il tentativo dioclezianeo si rivelò fallimentare, e da Costantino in poi aumentò la ricezione degli istituti provinciali. In questo periodo si compì, parallelamente all'estensione dell'Impero di Roma, anche l'universalizzazione del suo diritto; sorsero allora lo ius honorarium e lo ius gentium, fiorì la giurisprudenza e, con l'Impero, la legislazione imperiale; tale evoluzione non intaccò tuttavia formalmente le strutture del più antico diritto quiritario, in quanto i nuovi principi furono introdotti come eccezioni e adattamenti, che non alteravano nella forma il sistema dello ius civile, pur esercitando un pesante influsso sulla sua applicazione pratica. La terza e ultima fase, che abbraccia gli anni dalla fine del III sec. fino alla compilazione giustinianea, si distingue nettamente dalle altre due; nel diritto postclassico o r.-ellenico, come generalmente è definito, si verificò infatti un'ampia penetrazione di influssi provinciali, soprattutto delle province orientali, verso le quali si era allora spostato il centro gravitazionale dell'Impero, e i cui sudditi erano ormai divenuti cittadini r. a pieno titolo. Tale influenza non poté essere contrastata dalla giurisprudenza classica, in piena decadenza, come dimostra il fatto che la Costituzione del 426, emanata da Teodosio II e Valentiniano III, attribuì valore legislativo alle opere di alcuni giuristi di età imperiale. Gli elementi innovativi che contrassegnarono il diritto r. in quest'ultimo periodo penetrarono infine in gran parte nella compilazione giustinianea, e ad essi furono dovute, in maggioranza, le modifiche che i compilatori del Corpus Iuris apportarono ai testi classici per ordine di Giustiniano. ║ Fonti del diritto r. pregiustinianeo: in generale, le fonti del diritto r. pregiustinianeo si presentano come un complesso di atti normativi espressi da organi collegati a sistemi giuridici diversi, che si susseguirono, ciascuno operando variamente nel tempo, in connessione con il mutare della costituzione politica di Roma, dall'originario ordinamento monarchico, attraverso quello repubblicano, fino all'assetto del principato. Fonte principale del diritto r. nel periodo quiritario furono le consuetudini (mores maiorum), applicate attribuendo ad esse carattere di obbligatorietà giuridica. A queste si aggiunsero nel tempo la lex (decisa dal popolo adunato nei comizi, su proposta del magistrato, e sottoposta alla ratifica del Senato), i plebiscita (decisioni inizialmente valide solo per la plebe e prese dai concilia plebis tributa, equiparate alle leges certamente dal 289 a.C.), e l'edictum del magistrato che amministrava la giustizia, il quale fu, a partire dal 367 a.C., il praetor (pretore). Tali fonti, ricordate dalla tradizione, risultano volte a colmare lacune e ad apportare deroghe alla consuetudine (mos), come la legge delle XII Tavole e le leggi comiziali, datae e rogatae; infondata risulta invece la notizia dell'esistenza di leges regiae, che la tradizione vuole proposte dal re dinanzi ai comizi e da essi approvate. L'interpretazione del diritto spettò a lungo esclusivamente ai magistrati religiosi (pontefices). Con il progressivo svilupparsi di una giurisprudenza laica, che ebbe origine dalla pubblicazione del calendario e dall'operato di Gneo Flavio (304 a.C.), fu avviato lo studio scientifico del diritto; inoltre, ebbero inizio sia l'attività pratica (nelle tre forme dell'agere, cavere e respondere) sia la collaborazione del giurista con il magistrato giudicante, attraverso le quali la giurisprudenza, cioè l'attività interpretativa svolta dagli iuris periti, esercitò un influsso considerevole sull'evoluzione del diritto r. Essa divenne infatti fonte di diritto, in particolare da quando, a partire dall'epoca di Augusto, fu concesso ai giuristi di dare pareri vincolanti per il giudice (ius respondendi ex auctoritate principis). Durante il principato, fino all'età dei Severi, si sviluppò in particolare l'attività letteraria, con l'elaborazione di opere elementari quali institutiones e definitiones; digesta, disputationes e quaestiones; libri ad edictum, ad Sabinum e ad Q. Marcium); essa relegò in posizione subordinata l'agere e il cavere, grazie all'opera creatrice di molti giuristi, massimo esponente dei quali fu Papiniano. A questa fase fece seguito un periodo di sistemazione e di organizzazione del diritto, ad opera di giuristi quali Paolo, Ulpiano e Modestino: con quest'ultimo la giurisprudenza r. giunse al suo massimo compimento. L'organo che più d'ogni altro ebbe il merito di adeguare il diritto alle nuove condizioni economiche e sociali fu il pretore, al quale spettava anche l'attività giurisdizionale. L'edictum del pretore si configurava come una sorta di ordinanza a carattere generale che il pretore stesso emanava all'inizio dell'anno in cui restava in carica e le cui disposizioni i praetores successivi via via aggiornavano per adeguarle alle mutate esigenze del vivere civile (edictum tralaticium): proprio tali disposizioni aggiornate e modificate diedero vita a un vero e proprio sistema giuridico, detto ius honorarium, volto a interpretare le nuove esigenze della società in sviluppo, integrativo e migliorativo dello ius civile che promanava dai mores e dalle altre fonti normative; peraltro, l'editto del pretore non innovava la forma del diritto civile, ma vi introduceva accorgimenti, deroghe, eccezioni, che ne rendevano nulle o comunque modificavano le conseguenze sul terreno pratico. Oltre a ciò, nell'ultimo periodo della Repubblica e all'inizio del principato ebbero grande sviluppo l'attività legislativa del Senato, nella forma del senatoconsulto (V.), e soprattutto le Costituzioni imperiali, che risultarono la fonte di gran lunga più importante dopo l'esaurimento delle fonti repubblicane. Il consolidamento dell'autocrazia con le riforme amministrative di Diocleziano e Costantino condusse inevitabilmente all'unificazione delle fonti del diritto nella volontà dell'imperatore, come mostra anche il particolare che il termine lex, fino ad allora riservato alla norma votata nei comizi, passò a definire la Costituzione imperiale. La divisione dell'Impero in due parti non ruppe, almeno formalmente e fino a Teodosio II (429), l'unità legislativa: le leggi e le costituzioni emanate in una parte dell'Impero valevano automaticamente anche nell'altra e venivano indicate con il nome dei due imperatori. Tuttavia, centro del potere e dell'attività legislativa rimase ben presto la sola Costantinopoli. Il numero sempre crescente delle Costituzioni imperiali e la difficoltà di conoscerle fecero presto sentire la necessità di compilarne delle raccolte: le prime, il Codex Hermogenianus e il Codex Gregorianus, risalenti alla fine del III sec., furono eseguite per iniziativa privata. Solo a partire dal V sec. lo Stato prese l'iniziativa: nel 438 venne promulgato in Oriente il Codex Theodosianus, fatto compilare dall'imperatore Teodosio II e accettato per l'Italia da Valentiniano III. Tali codici erano tuttavia parziali e tecnicamente imperfetti: solo un secolo più tardi l'imperatore Giustiniano riuscì a provvedere all'esigenza della certezza, oltreché della semplificazione e unificazione legislativa che si faceva sempre più urgente. Il problema fu da lui affrontato già un anno dopo la sua ascesa al trono (528) e rapidamente risolto con la pubblicazione, tra il 529 e il 534, delle tre parti della compilazione: nel 529 il Codex, raccolta delle Costituzioni imperiali; nel 533 i Digesta o Pandectae, raccolta degli iura o frammenti della giurisprudenza r.; nel 534 le Institutiones, opera elementare finalizzata all'insegnamento scolastico. L'opera compilatoria fu poi proseguita e integrata da un'intensa attività legislativa, rappresentata dalle Novellae Constitutiones (o semplicemente Novellae), che Giustiniano promulgò dal 534 fino all'anno della sua morte (565), apportando innovazioni soprattutto in materia matrimoniale e successoria. Nel 554, riconquistata l'Italia con la fine vittoriosa della guerra ventennale contro i Goti, Giustiniano vi promulgò la sua compilazione con la pragmatica sanctio: l'Italia divenne in tal modo l'unica terra in Occidente depositaria del diritto giustinianeo, e ciò fu decisivo per la storia della civiltà giuridica. ║ Concetti e partizioni fondamentali: la norma giuridica r. è indicata dal termine ius: iustus è di conseguenza l'atto o il rapporto conforme al diritto positivo, mentre legitimus è l'atto o il rapporto sancito da una lex. Fine supremo del diritto r. è l'aequitas, che consiste nell'applicare pari trattamento giuridico in causa pari e che permea lo stesso ordinamento giuridico. Con l'evoluzione della coscienza giuridica furono considerati iniqui quegli istituti dello ius civile che non corrispondevano più alle nuove esigenze; pertanto si dice che lo ius honorarium, interprete della nuova coscienza sociale, ha il suo fondamento nell'aequitas ed è diretto alla sua attuazione. La discriminazione, di ascendenza ellenica, fra ius scriptum e ius non scriptum non ebbe di fatto rilevanza pratica: molto più importante, e ricca di conseguenze, fu invece la distinzione fra ius publicum e ius privatum. Nel periodo quiritario, la civitas non era il solo organismo politico; al di sotto di esso, la gens e la familia si configuravano egualmente come gruppi politici. Di conseguenza, la differenza fra diritto pubblico e diritto privato era non di sostanza, ma riguardava i campi di applicazione. In seguito all'attenuazione e alla scomparsa degli organismi minori si fece meno evidente anche la differenza tra il diritto pubblico, che regola l'attività dello Stato, e il diritto privato, che si limita all'interesse dei singoli. Sono indicate come ius publicum anche le norme imperative che, in contrapposizione alle norme dispositive, non possono essere derogate dalla volontà delle parti. Altra importante distinzione, tuttavia non originaria, è quella fra ius civile, ius gentium e ius naturale. All'età classica risale la dicotomia fra ius civile, cioè il diritto del popolo r., e ius gentium, che è il diritto inteso come complesso di norme che non sono esclusive di Roma e possono perciò essere applicate tanto a cittadini quanto a stranieri. Infine, nel diritto giustinianeo, sotto l'influenza prevalente del Cristianesimo, alla dicotomia classica si sostituì una tripartizione: si cominciò a parlare infatti anche di uno ius naturale quod natura omnia animalia docuit, attraverso il quale si ottiene la conciliazione della schiavitù, istituto proprio dello ius gentium, con il principio cristiano dell'uguaglianza tra gli uomini. ║ Soggetti di diritto - La persona e la capacità giuridica: la distinzione fondamentale è quella fra uomini liberi e servi. Soggetto del diritto è l'uomo libero, cittadino sui iuris, in possesso cioè dei tre status (libertatis, civitatis, di pater familias). Lo status libertatis e lo status civitatis si acquistano per nascita o liberazione dalla schiavitù; pater familias è chi non ha ascendenti viventi in lato maschile. Per contro, il servus (schiavo) è ritenuto oggetto di diritto, alla stessa stregua delle cose. Ciò nonostante, il principio dell'incapacità giuridica del servus non è assoluto: egli ha infatti piena capacità penale, cioè è destinatario delle norme penali; inoltre, nel corso dell'età imperiale furono ammesse deroghe al principio dell'assoluta incapacità giuridica del servus, al quale era peraltro riconosciuta la capacità di agire, cioè l'idoneità a compiere atti produttivi di effetti giuridici. Infine, la schiavitù non era, nel diritto r., una situazione immodificabile, in quanto il padrone cui lo schiavo apparteneva poteva rendere al medesimo la libertà (manumissio), atto in seguito al quale il servus acquistava la normale capacità giuridica, salvo alcune limitazioni espressamente previste. Quanto all'uomo libero, il venir meno di uno dei tre status essenziali determinava la perdita (capitis deminutio minima, media o maxima) della capacità giuridica. In genere, il diritto riconosce anche capacità giuridica sia ad associazioni di persone riunite per uno scopo che trascende quello dei singoli associati (corporazioni), sia a un patrimonio destinato a uno scopo (fondazioni): il diritto r. conosce tuttavia soltanto le prime (fra le quali il populus r. e organismi politici minori come il municipium, il forum, il vicus), mentre le seconde non hanno capacità giuridica in sé, ma sono collegate sempre a una persona fisica (fiscus, hereditas iacens). ║ Oggetti di diritto: l'oggetto di diritto è designato col termine res, che indica tanto le cose corporali quanto i servigi e le prestazioni immateriali; il diritto r. distingue le res extra patrimonium (che non sono suscettibili di rapporti giuridici privati) e le res in patrimonio: le prime sono a loro volta suddivise in res divini iuris e humani iuris; le res in patrimonio sono distinte in res mancipi (cose di importanza sociale) e res nec mancipi, in cui è prevalente la sfera d'azione individuale; sono inoltre comuni ulteriori tipi di suddivisione, fondati su principi di carattere economico-sociale e variabili quindi con il mutare delle esigenze. ║ Il negozio giuridico: i R. non elaborarono mai una teoria generale del concetto di negozio giuridico. Nelle fonti romanistiche, il problema più importante riguarda la volontà e la sua manifestazione. Il diritto più antico conobbe soltanto negozi formali, solenni: l'uso delle formalità prescritte esimeva quindi da ogni analisi sulla volontà. Con l'evoluzione giuridica furono introdotti accanto a tali negozi (iudicia stricti iuris) gli iudicia bonae fidei, nei quali era lasciato spazio alla volontà delle parti. Lo ius civile conosceva poi due sole possibilità: negozio giuridico perfetto o negozio nullo. Lo ius honorarium ne tradusse l'annullabilità, nei casi di volontà presente, ma viziata. Con il diritto giustinianeo la distinzione passò infine sul terreno sostanziale: nullo si definisce il negozio che si deve considerare mai posto in essere, annullabile quello che è valido, ma il cui annullamento può essere provocato dall'interessato. La rappresentanza nei negozi non è prevista nel diritto r., eccetto nella forma del procurator omnium bonorum. Atto illecito è l'atto lesivo di un diritto altrui: la volontarietà dell'atto costituisce la colpa (culpa), la lesione provocata il danno (dolum); la colpa è detta contrattuale se sussiste un rapporto con la persona lesa, extracontrattuale se tale rapporto è assente. Mentre nell'illecito extracontrattuale si risponde per dolo e per culpa, nell'illecito contrattuale si distinguono i giudizi infamanti, nei quali la responsabilità è limitata al dolo, dagli altri rapporti, nei quali viene addossata al debitore una parte obiettiva di rischio per certi determinati eventi. Esula invece da ogni responsabilità il casus fortuitus, anch'esso distinto però in casus cui resisti potest e cui resisti non potest. Caratteristica fondamentale del diritto quiritario è la sostanziale vicinanza dei diritti reali e di quelli di famiglia, poiché entrambi trovano la loro determinazione nella potestà del pater familias sulle persone e sulle cose del gruppo; per contro, con l'evoluzione del diritto classico e giustinianeo, i diritti reali e obbligatori rientrano nella sfera dei diritti patrimoniali. ║ Famiglia e matrimonio: secondo la teoria prevalente, la familia agnatizia costituirebbe il gruppo politico antecedente alla civitas. L'espressione familia indica comunemente il capo di casa (pater familias) e il complesso delle persone soggette alla sua autorità (familia proprio iure): oltre ai servi, considerati alla stregua di cose, i discendenti immediati e mediati non emancipati (cioè non affrancati tramite l'emancipatio dalla sua potestà), la moglie e le nuore. Il pater familias ha infatti sui suoi sottoposti un ampio potere coercitivo e punitivo, che arriva a comprendere il diritto di vita o di morte (ius vitae et necis). Morto il pater familias, i discendenti immediati divengono a loro volta capi di casa; resta tuttavia un vincolo comune fra tutti coloro che sono stati sotto uno stesso pater, che in epoca più tarda diede luogo alla familia communi iure. I poteri del pater familias sugli appartenenti al gruppo sono analoghi a quelli del capo di un gruppo politico e sono praticamente illimitati: infatti, i modi di ingresso nella familia (nascita, adozione e rogazione) sono simili a quelli di ingresso nella civitas; nei suoi tratti originari, il dominium ex iure Quiritium si configura come l'esercizio della sovranità sul territorio del gruppo. L'eredità, in origine successione testamentaria, si configura come la designazione del successore nella sovranità del gruppo, e soltanto più tardi si afferma il principio che singuli singulas familias incipiunt habere. La famiglia ha i suoi sacra, i suoi iudicia domestica, i suoi mores. Dal punto di vista patrimoniale il pater è unico titolare del patrimonio, e a lui sono devoluti gli acquisti fatti dal filius familias o dal servo. Peraltro, va ricordato che l'incapacità giuridica del filius sottoposto all'autorità del padre non concerne il diritto pubblico, in quanto in quest'ambito i figli hanno gli stessi diritti del padre ad accedere alle pubbliche cariche (ius suffragi e ius honorum). Inoltre, soprattutto nel periodo fra Costantino e Giustiniano, decadono gli aspetti più drastici del potere del pater ed è consentito al filius di avere un proprio patrimonio (peculium). Presupposto della familia è il matrimonio, mezzo giuridico per cui una donna, sui o alieni iuris, entra in una nuova famiglia con la funzione di procurare, al pater familias o a un suo sottoposto di condizione libera, una discendenza legittima. Il matrimonio può portare o meno alla sottomissione della donna al pater familias: si ha soggezione se si attua la conventio in manu (tramite la confarreatio e la coëmptio), mentre in assenza di questa la donna entra nella famiglia solo attraverso una sorta di usucapione (usus), rimanendo un anno in casa del marito. I due diversi tipi di matrimonio, con manus o senza, incidono sui rapporti della donna con la famiglia del marito: se è avvenuto sine manus, la donna si considera come mai uscita dalla sua famiglia d'origine ed è quindi un'estranea per i suoi stessi figli (il rapporto di parentela materna è detto cognatio, mentre la parentela per via maschile è l'agnatio); se è avvenuto con manus, la donna entra nella nuova famiglia come se fosse una figlia (in loco filiae) ed è perciò ritenuta fittiziamente agnata dei suoi figli. In ogni caso, per quanto riguarda la natura giuridica del matrimonio, essa rimane sempre quella di una mera situazione di fatto, assimilabile al possesso. Per contro, nel tardo Impero la famiglia cognatizia si sostituisce progressivamente a quella agnatizia e il termine familia passa a indicare la famiglia naturale, sorta con il matrimonio e con la procreazione legittima. Due sono gli elementi del matrimonio r.: l'affectio maritalis, la volontà di vivere come marito e moglie, e la convivenza effettiva. Il venir meno di uno solo dei due elementi determina la cessazione del vincolo matrimoniale. Di conseguenza, la possibilità del divorzio è implicita nella nozione stessa del matrimonio r. e l'istituto sussiste ancora nel diritto giustinianeo, pur fra critiche e riserve mosse dagli imperatori cristiani. Altrettanto combattuto è il concubinato, cioè la convivenza stabile con donna libera, senza l'honor matrimonii. Il regime patrimoniale del matrimonio è quello dotale: nel diritto classico il marito è proprietario della dote, mentre nella fase imperiale ne diviene solo l'amministratore; del resto, in caso di scioglimento del vincolo il marito può essere convenuto per la restituzione della dote con l'actio rei uxoriae. ║ Proprietà e possesso: quanto alla proprietà, manca nelle fonti r. qualsiasi sua definizione. Nella concezione originaria del diritto r. la proprietà come diritto individuale è molto limitata: in particolare, i fondi coltivabili appartengono alla collettività dei cittadini, cosicché, nella fase più arcaica, la proprietà si identifica con la sovranità sulla cosa. Un riflesso di tale concezione è presente nella fase del diritto quiritario, in cui si distinguono tre tipi di proprietà: la proprietà civile o quiritaria (dominium ex iure Quiritium), la proprietà provinciale (usufructus o possessio dei praedia stipendiaria) e la proprietà pretoria o bonitaria (in bonis habere). La prima forma è soprattutto immobiliare e si afferma sui fondi del territorio italico; i fondi delle province conquistate appartengono invece allo Stato o al principe, perciò vengono assegnati attraverso una concessione, in pieno e trasferibile godimento dei singoli. Il contenuto del diritto di godimento è di fatto molto ampio e la proprietà provinciale si distingue dalla proprietà quiritaria solo perché quest'ultima è immune da imposte fondiarie, mentre la proprietà provinciale paga un tributo, a riconoscimento dell'alta proprietà dello Stato. Quanto alla proprietà pretoria, essa riguarda l'acquisto di una res mancipi avvenuto senza il ricorso all'atto formale di trasferimento, necessario a rendere l'acquirente dominus ex iure Quiritium, e fu introdotta dal pretore per tutelare tale genere di acquirente, garantendogli un'azione per difendersi contro il proprietario. Si distinguono modi d'acquisto originari e derivativi, a seconda che l'acquisto nasca, o meno, attraverso un rapporto con il precedente titolare, rapporto che giustifica appunto l'acquisto (causa). Un posto a sé occupa l'usucapione: nel diritto giustinianeo esso risulta dalla fusione dell'usucapio (per i fondi in territorio italico) e della longi temporis praescriptio (per i fondi in territorio provinciale). Degno di nota è poi l'istituto del condominio: a una fase più antica, in cui ogni condomino poteva disporre liberamente della cosa, si sostituì in epoca classica il principio della proprietà per parti ideali. Le limitazioni legali, rare nel diritto classico, dilagarono poi nel diritto giustinianeo. Quanto alla servitù, per i R. indicava soltanto il peso imposto a un fondo a vantaggio di un altro fondo (servitù prediali), mentre l'origine delle servitutes personarum risale ai compilatori giustinianei, i quali, snaturando il concetto originario, le introdussero accanto alle servitù prediali. Caratteristiche della servitù prediale sono l'inalienabilità e l'indivisibilità, distinte in rustiche e urbane. L'usufrutto e l'uso sono diritti personali di godimento della cosa altrui. Nell'età postclassica si collocano, fra gli iura in re aliena, anche l'enfiteusi e la superficie. Il possesso è la fisica disponibilità della cosa con l'intenzione di averla come propria; è difeso mediante la protezione interdittale (V. INTERDETTO) e, se accompagnato da determinati requisiti, conduce all'usucapione. È una semplice signoria di fatto, protetta dal diritto non in quanto si riscontri nel possessore una legittimazione a tale protezione, ma per la conservazione della pace sociale. Col diritto giustinianeo, possessio diviene soltanto quella del dominus, o di chi crede in buona fede di esserlo (animo domini). Il semplice possesso di fatto è assimilato alla detenzione. Infine, mentre i R. non conoscevano che il possesso delle cose corporali, nel Basso Impero fu introdotta la quasi possessio, considerando e tutelando come tale l'esercizio di un diritto reale da parte di chi non ne fosse titolare. ║ Obbligazioni e contratto: i R. ebbero chiara la distinzione fra i diritti che si concretano in una signoria immediata sulla cosa (diritti reali) e le obbligazioni, cioè diritti che si soddisfano attraverso la collaborazione di un soggetto (debitore) legato da un vincolo a un altro soggetto (creditore): l'obbligazione è definita infatti come iuris vinculum quo necessitate adstringimur alicuius solvendae rei. Tale definizione rimanda a una fase originaria in cui il vincolo non era giuridico, bensì materiale: infatti, l'originario obligatus era asservito a titolo di pena, nelle obbligazioni da delitto, oppure a titolo di garanzia, quando interveniva la pactio o quando il filius o servus veniva consegnato dal pater familias mutuatario fino al pagamento del debito. Residuo del più antico regime dell'obligatio è la noxae deditio, la consegna del figlio o del servo colpevole a chi ha ricevuto l'offesa, con la quale il pater familias si libera da ogni responsabilità. È definito contractus quell'accordo di volontà cui il diritto riconosce la possibilità di costituire un vincolo obbligatorio, delictum quella lesione che il diritto riconosce fonte di obbligazione. Nel diritto antico, la costituzione di obbligazioni contrattuali richiedeva forme solenni, prevalentemente orali; più tardi, accanto a questi sorsero altri contratti formali e letterali. Già prima del periodo classico, inoltre, si riconobbe carattere di contratto ad alcune cause di obbligazione, indipendentemente da forme tipiche e solenni; sorsero, così, i contratti reali e consensuali. Nell'età postclassica si riconobbero come contratti molti negozi, che vennero compresi genericamente sotto il nome di contratti innominati (do ut des, do ut facias, facio ut facias, ecc.). Si distinguono ancora contratti a titolo oneroso o a titolo gratuito, a secondo che la causa giustificativa dell'acquisto rappresenti, o no, una corrispondente perdita. I contratti a favore di terzi sono nulli. L'obbligazione si può estinguere ipso iure o ope exceptionis; altre cause di estinzione sono la datio in solutum, la novazione, la compensazione, la confusione. ║ Eredità e successione: la successione r. consisteva nel subingresso di una persona nella posizione giuridica precedentemente occupata da un altro soggetto. La successione si attuava solamente in alcuni casi particolari, quali l'arrogazione (V.), la conventio in manum a favore del pater familias coëmptionator, la riduzione in servitù a favore del dominus (tutti casi di successione inter vivos), l'hereditas. È opinione ormai consolidata che l'hereditas, nella sua primitiva funzione, dovesse servire al trapasso della sovranità sulla familia: nata quindi come designazione dell'erede per mezzo del testamento, essa rimase comunque trapasso di sovranità anche quando la morte del pater familias cominciò a determinare la fine dell'unità familiare. Nel sistema del diritto r. non solo prevale la successione testamentaria ma, a differenza di quanto in genere previsto nel diritto degli Stati moderni, è escluso che tale forma di successione possa concorrere con quella legittima sull'eredità (nemo pro parte testatus pro parte intestatus decedere potest): in base a questo principio, all'erede istituito limitatamente a una parte del patrimonio è assegnato l'intero patrimonio ereditario. La forma più antica di testamento, abbandonata alla fine della Repubblica, è quella detta calatis comitiis: consisteva nell'adozione di un pater familias da parte di chi era privo di discendenti legittimi attraverso la procedura della rogazione, compiuta in presenza dei comizi curiati. In epoca classica era in uso il testamento per aes et libram, da cui derivò il testamento pretorio. In mancanza di testamento, aveva luogo la successione ab intestato. Nelle XII Tavole l'ordine di successione è: sui, adgnatus proximus, gentiles. L'opera del pretore finì per sostituire al vincolo agnatizio il vincolo di sangue (cognatizio). Sorse così la bonorum possessio, alla quale erano chiamati nell'ordine: i liberi o discendenti, i legitimi, i cognati, il coniuge superstite. Nel diritto giustinianeo, l'ordine dei successibili è stabilito dalle Novelle 118 e 127: discendenti; ascendenti; germani, germane e loro figli; fratelli e sorelle unilaterali; gli altri parenti più prossimi. Mentre nel diritto si considera erede colui che è chiamato a succedere nella totalità o in una quota di beni singoli, nel diritto r. erede è colui a cui è attribuito il titolo. ║ Processo civile: caratteristica fondamentale del processo civile, strumento di tutela del diritto, è il suo carattere volontario e privato, in ogni sua fase. Lo Stato intervenne solo tardi e con molte limitazioni: l'intervento più importante fu la divisione del processo in due stadi: in iure (dinanzi al magistrato) e in iudicio (dinanzi al giudice arbitro). Le tre fasi del processo civile in cui si manifesta la progressiva ingerenza dello Stato sono le legis actiones, le formulae, la cognitio extra ordinem. Nel II sec. a.C. una lex Aebutia introdusse, o almeno legittimò, un nuovo modus procedendi, che prese il nome di procedimento formulare, e che era caratterizzato dal fatto che, al momento della litis contestatio, il magistrato consegnava al giudice un'istruzione scritta nella quale erano esposti i fatti (demonstratio), il diritto accampato dall'attore (intentio) e l'ordine alternativo di condannare o di assolvere a seconda che i fatti fossero veri o no (condemnatio). Il procedimento extra ordinem era caratterizzato infine dall'assenza della distinzione nelle due fasi in iure e in iudicio. In seguito a tali modificazioni e all'intervento sempre maggiore da parte dello Stato, il processo, diretto dal principio alla fine dal magistrato, si configura come una funzione statale. - Dir. pen. - Fin dalle origini si procedette a Roma a una duplice repressione contro i reati: infatti fra gli atti che suscitavano la riprovazione della coscienza comune si distinse fra reati pubblici, diretti cioè contro la civitas (crimina) e delitti contro privati (maleficia o delicta). Il delitto pubblico implica una vera e propria lesione del bene comune e si configura come offesa recata a tutta la comunità: pertanto la città stessa interviene direttamente o attraverso i suoi organi. Il delitto privato si configura invece come offesa arrecata al diritto individuale, che determina la necessità di una riparazione: in origine questa assunse la forma di vendetta privata, assolutamente discrezionale e incontrollata; in un secondo momento si strutturò invece sul modulo del «taglione» (diritto attribuito alla parte lesa di arrecare all'autore del delitto un'offesa pari a quella da lui ricevuta); infine, in età classica, il delitto privato divenne riscattabile mediante composizione pecuniaria, dapprima libera, poi fissata. In tal modo il diritto penale privato divenne progressivamente una branca del diritto delle obbligazioni. La repressione criminale restò invece sempre monopolio della civitas. Con la Repubblica, la giurisdizione criminale venne accentrata nelle mani dei magistrati, in particolare dei questori; nello stesso tempo, però, in seguito al sorgere e agli sviluppi della provocatio ad populum si cominciò ad attribuire ai comizi la pronuncia sui reati capitali. Una riforma che trasformò completamente il processo e lo stesso diritto penale fu apportata all'epoca dei Gracchi, con l'introduzione delle quaestiones perpetuae, cioè di particolari commissioni d'inchiesta con competenza esclusiva su determinati reati (V. QUAESTIO). I legislatori successivi, in particolare Cesare e Augusto, perfezionarono il sistema e inclusero nelle quaestiones reati fino ad allora esclusi. Fra i crimini previsti nelle quaestiones (crimina ordinaria) particolarmente importante era la maiestas, in cui Augusto comprese anche la perduellio; altri erano il peculato, al quale fu equiparato il sacrilegium, e la calumnia (nei reati contro l'amministrazione della giustizia). Silla regolò attraverso le Leges Corneliae tutte le varie forme di omicidio e di violenza pubblica, mentre sotto Augusto furono repressi i reati contro l'ordine della famiglia. Tale sistema venne imitato talora anche nelle province, come mostrano gli editti di Augusto ai Cirenei. Accanto ai crimini repressi dalle quaestiones (crimina ordinaria) fin dall'inizio del principato fu previsto un complesso di altri delitti repressi direttamente dalla giurisdizione del principe e dei suoi maggiori funzionari, prefetti della città o del pretorio (crimina extraordinaria). Il nuovo processo era inquisitorio, si fondava cioè sull'iniziativa del magistrato, mentre nelle quaestiones era accusatorio; inoltre, le pene erogate erano assai più severe e, dal II sec., applicate diversamente a seconda della classe sociale del reo; è tuttavia innegabile che con il nuovo processo penale si tentò di ottenere una maggiore proporzione della pena al delitto e di tenere in maggior considerazione il fattore intenzionale. Nel III sec. la procedura extra ordinem era ormai la sola vigente, in considerazione del concetto di autorità giurisdizionale del principe. - Dir. pubbl. - In età storica, Roma si configura già come una civitas (città-stato), costituita con tutti i suoi organi e con un territorio sul quale esercita la sovranità: è però probabile che nella fase più arcaica, anteriore a tale ordinamento, le familiae, le gentes e le tribù costituissero entità politiche autonome. Quanto alla posizione occupata in seno alla civitas dalla plebe, si tratta di un problema irrisolto, in quanto, benché non risulti che fosse mai stata priva del fondamentale diritto di cittadinanza, l'esclusione in età storica dal commercium e dal connubium induce a credere che in una fase primitiva fosse considerata estranea alla civitas. La tradizione attribuisce a Roma fin dalle sue origini i tre organi fondamentali della città-Stato: il rex, nominato verosimilmente per cooptazione da parte del predecessore; il senatus, assemblea dei capi delle gentes; i comitia curiata, l'assemblea del popolo in armi, a organizzazione ternaria, sulla base delle trenta curiae e delle tre tribù primitive (Ramnes, Tities, Luceres). Al re, organo prevalente della costituzione primitiva, spettava un ampio potere esecutivo, rafforzato dal suo ruolo di interprete della volontà degli dei per tutta la civitas: i suoi poteri furono ulteriormente accresciuti durante la dominazione etrusca, la quale favorì anche l'affermarsi delle caratteristiche dell'imperium del re, che vennero poi ereditate dai magistrati della Repubblica. Al Senato spettava soprattutto, in un periodo in cui i comizi non avevano il potere legislativo, l'interregnum nel caso di morte del sovrano senza che questi avesse cooptato un successore; in seguito gli fu attribuita anche la ratifica delle deliberazioni comiziali. Per quanto riguarda i comizi curiati, non pare che essi avessero altra funzione che l'assistenza agli atti che introducessero mutamenti nella compagine della città-stato e dei gruppi politici che la componevano. Rovesciata la Monarchia di tipo etrusco e ridotte le attribuzioni della Monarchia latina, un'evoluzione che non è possibile ricostruire con tutta chiarezza, portò al sorgere della magistratura repubblicana dei due praetores, poi consules; si trattava di una magistratura a carattere collegiale, caratterizzata dal fatto che l'intercessio opposta da uno dei due consoli aveva il potere di annullare le decisioni prese dall'altro. La Costituzione repubblicana subì quindi una graduale trasformazione, determinata soprattutto dalla partecipazione della plebe alla cittadinanza, e dalle sue rivendicazioni nei confronti dei patrizi. L'organo del quale la plebe si valse a questo scopo fu il tribunato della plebe: i tribuni avevano infatti il diritto di opporre il veto alle decisioni prese dagli organi controllati dai patrizi, che ritenevano contrarie agli interessi della plebe. Benché i particolari dell'evoluzione costituzionale repubblicana in questa fase non siano del tutto chiari, alcuni elementi risultano certi: fra essi sono il precisarsi dei compiti dei consoli, ai quali vennero affiancati altri magistrati con competenze specifiche; lo sviluppo delle tribù da personali a locali, con la distinzione in rustiche e urbane; la nascita dei comizi tributi, in cui patrizi e plebei erano parificati in proporzione della relativa proprietà fondiaria. L'imperium in pace e in guerra spettava ai consoli e poteva essere prorogato per impieghi nei territori di conquista (proconsolato); le funzioni degli altri magistrati erano invece limitate al territorio r. Con il progressivo diradarsi del patriziato e il pareggiamento dei due ordini si arrivò alla formazione di una nuova nobilitas, costituita da quelle famiglie i cui membri coprivano pressoché costantemente le massime magistrature, e che costituiva il nucleo del Senato, massimo organo della Costituzione repubblicana. A quest'ultimo era attribuita una funzione politica consultiva, attraverso l'emanazione dei senatoconsulti: tuttavia, dal momento che tali deliberazioni erano vincolanti per il magistrato, il Senato assunse di fatto il controllo della politica estera e finanziaria. Al Senato spettava inoltre l'organizzazione delle province, considerate territori soggetti, secondo il criterio dello stato patrimoniale, salvo il rispetto delle città-stato preesistenti. Per quanto riguarda più in particolare il territorio italico, il sistema delle civitates sine suffragio venne abbandonato relativamente presto, per adottare il sistema del foedus aequum o iniquum, insieme all'istituzione di colonie agricole e militari. Le altre assemblee del periodo repubblicano erano i comizi, centuriati e tributi. Questo ordinamento costituzionale entrò in crisi nel II sec. a.C., a causa delle nuove esigenze della piccola proprietà fondiaria e della nuova classe dei cavalieri che, arricchitasi con il commercio e l'appalto delle imposte nelle province, si appoggiò al proletariato urbano per mutare a proprio favore l'ordinamento esistente. A tale fenomeno si aggiunsero la frequenza dei comandi militari straordinari, che consentì a personalità dominanti di utilizzare l'esercito r. quasi come milizia personale, mobilitandolo al fine di impossessarsi del potere; le numerose leggi agrarie, nel tentativo di risolvere il problema delle distribuzioni di terre; i movimenti politici diretti a trasferire il potere ai cavalieri e ai tribuni della plebe; infine, la restaurazione sillana, con la quale i magistrati divenivano meri organi del Senato. Un passo fondamentale nell'evoluzione del diritto fu la concessione della cittadinanza agli Italici, estesa poi da Giulio Cesare alla Gallia Cisalpina. La crisi repubblicana sfociò, dopo la battaglia di Azio, nel principato di Augusto, il cui merito, rispetto al nuovo ordinamento, consistette nello svincolare il proprio potere dall'organismo costituzionale dello Stato: formalmente non fu annullato né modificato alcun organo del regime repubblicano, ma accanto ad essi si pose la nuova figura del princeps, la cui auctoritas derivava dall'aver posto termine alle guerre civili e dal prestigio di cui godeva fra la cittadinanza e l'esercito. All'imperator spettavano la tribunicia potestas, che gli conferiva il potere di opporre l'intercessio alle iniziative magistratuali contrarie agli interessi del principato, e l'imperium proconsulare maius, che gli dava il comando delle milizie fuori Roma. Con il principato si affermò gradualmente un nuovo spirito nell'amministrazione delle province, sempre più protette dagli interventi del Senato, che favorì un nuovo equilibrio e un graduale livellamento del vasto territorio dominato da Roma. Ma, nei fatti, l'imperatore assommava in sé un tale complesso di poteri, che necessariamente privò di ogni effettiva ingerenza e autorità gli organi della Costituzione repubblicana. In particolare, con l'età degli Antonini ebbe luogo un progressivo affermarsi dell'assolutismo imperiale, che, dopo la crisi del III sec., culminò nella riforma dioclezianea. Dopo la concessione della cittadinanza r. a tutti i cittadini dell'Impero da parte di Caracalla (212), Diocleziano abolì di fatto ogni distinzione tra suolo italico e provinciale. Egli inoltre favorì la formazione di una vasta gerarchia civile e militare, che faceva capo soltanto all'imperatore e attraverso la quale vennero definitivamente soppresse le ultime caratteristiche della magistratura repubblicana. Ormai, l'imperatore è dominus e legibus solutus, in quanto legge egli stesso; la divisione in classi della popolazione r. ha un significato solo amministrativo e gli stessi funzionari sono un'emanazione diretta dell'imperator, non più organi propri dello Stato.

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